Come non sorridere al Piccolo Principe e all’enorme distanza che sta tra il cappello e il serpente che ha ingoiato l’elefante del suo famoso disegno. Un po’ tutti possiamo riconoscerci nell’esempio: inventiamo film, ce la raccontiamo, ci auto-inganniamo con l’accuratezza di un grande regista.
C’è una realtà oggettiva e una soggettiva che costruiamo a seconda delle esigenze del momento, purtroppo talvolta motivate da stati sgradevoli che viviamo e che arrivano a dipingerci uno scenario non del tutto reale.
Spesso le nostre osservazioni dei fenomeni sono lucide, imparziali e allora sentiamo che quei pensieri hanno il sapore del discernimento e la solidità di un macigno.
A volte capitano giornate nelle quali siamo abitati da paura, odio, aspettative, desideri eccessivi, tristezza, e con questo carburante ci muoviamo nei nostri itinerari quotidiani. Anche a partire da questo humus generiamo pensieri (generare pensieri è una delle nostre occupazioni preferite!) che si radicano in questo terreno, sono figli di questo ecosistema.
Il punto però che spesso ci frega è solo uno: noi ai nostri pensieri -a tutti i nostri pensieri- crediamo un sacco. È come se, per il solo fatto di essere pensieri, guadagnassero il bollino di garanzia della veridicità. Anzi, a volte mettiamo pure il carico: quanto più siamo mossi da emozioni forti, tanto più crediamo a quello che pensiamo, aggiungendo anche espressioni come: “Ti assicuro, è così…lo sento”. Sul pensiero, vero a prescindere, e su quella presunta capacità sensitiva a me è capitato tante volte di mettermi nel sacco.
Mi sono chiesta in più occasioni quali fossero i puntini da unire, ma non c’era verso che dal disegno uscisse l’elefante ingoiato dal serpente. Mi ci è voluto un po’ per afferrare che univo i puntini sbagliati. Continuavo solo a guardare i pensieri e non mi accorgevo che ignoravo del tutto il corpo e le sensazioni che mi trasmetteva. Perché la domanda alla fine è una: come diamine faccio ad avere la certezza che questo pensiero sia vero e che quindi rappresenti per me una guida affidabile? Datemi quella benedetta garanzia: sto facendo un neutrale discernimento o un farraginoso accrocco? Come li distinguo, lo voglio sapere!
La risposta era lì ed era sempre stata lì, ed evidenziava -con un faro da stadio- ciò che normalmente ignoriamo: il corpo.
I pensieri lo sappiamo che parlano di continuo e ad alto volume; sono velocissimi a generarsi e moltiplicarsi. Il corpo ci parla innanzitutto attraverso il respiro…”respiro chi?”, sì quel mantice ripetitivo che c’è da quando nasciamo fino a quando ce ne andiamo, sì sì proprio quello che diamo per scontato e a cui di solito non badiamo. E poi il corpo ci parla anche attraverso le sensazioni fisiche (ok qui sorvolo sul “sensazioni chi?”).
La voce del corpo è pacata: magari i muscoli di collo e spalle ci si contraggono se siamo tesi per una riunione importante ma mica ci badiamo, tsk! abbiamo altro da fare noi. E se, per la stessa riunione o la successiva, ce la stiamo facendo sotto dalla tensione, noi siamo già troppo intenti ad ascoltare i pensieri che raccontano il nostro: “Oddio, panico, mamma che stress, ansiaaaaaa. Ora farò un disastro e chissà cosa penseranno tutti di me!”. E intanto, lì sotto, c’è quella povera pancia, ormai rammollita dalla paura, che spesso manco sappiamo di avere.
La risposta sta nel corpo perché se, e dico se, mi ricordo di badarci, lo sento quando mi trovo in uno stato neutro o in uno stato che dalla neutralità si è spostato.
Se ad esempio ora osservo il cestino nel mio ufficio o lo strofinaccio appeso in cucina e immagino di descrivere l’oggetto, è probabile che mi ritroverò ad allineare caratteristiche come materiale, colore, forma, dimensioni e così via. Come sta la mia pancia mentre dico grigio del cestino o di cotone dello strofinaccio? A meno che non sia l’ultimo regalo del mio fidanzato che mi ha mollato proprio questa notte, direi che la mia pancia è neutra. OK, se è così, ho alcune certezze in più che quelle caratteristiche corrispondano al vero, perché non ci metto niente che esuli dall’osservazione neutra e imparziale delle cose e che -per le mie possibilità- sono in grado di notare. Facile immaginare cosa accade quando invece i miei pensieri derivano da una notte insonne nella quale sono stata male per la fine di un amore. Di sicuro anche in quei pensieri ci sarà qualcosa di vero, ma se ascolto il mio corpo, e sono franca con me stessa, me lo posso dire che la mia pancia non è davvero neutra come quando descrivo l’altezza in centimetri del cestino.
Anche questo segnale del corpo, se lo noto, se lo ascolto, posso prenderlo come utile indizio del fatto che sto esprimendo idee che non sono la voce dell’arbitro ma è il tifoso a parlare. Basta questo: se so che genero idee non dal mio stato di neutralità, è come se mi avvertissi: “Occhio, guarda che potrebbero non essere obiettive” e così se tra i miei pensieri geniali c’è quello di fare lo sgambetto al tizio che mi ha appena fatto incavolare in ufficio be’, anziché definirla una trovata brillante, apprezzo lo spirito goliardico ma non scarico a terra il pensiero…e neppure il collega.
Questa consapevolezza che ci riporta ai messaggi del corpo, soprattutto quando sono generati da emozioni, sembra una piccola cosa ma fa tanta differenza, è il check-point che riesce a farci disporre su due file i pensieri mentre ci parliamo col megafono: “Allora, tutti quelli da pancia neutra di là. Tutti i figli di pancia mossa di qua”. E non è che questi ultimi li portiamo a processo, anzi, stiamo loro più vicini, li coccoliamo un po’ insieme alla nostra ormai famosa pancia turbata e mentre facciamo questo ci richiamiamo a più vigile presenza, consapevoli che non per certo i suggerimenti che arrivano da lì corrispondono sempre a verità e alle azioni più sagge da attuare.
E intanto il tempo scorre e con esso anche le onde di piena. Ché tutto è impermanente, tutto passa. Quanto è utile ricordarlo soprattutto quando il conteggio delle ammaccature ci impegna molto.
solidarietà immateriale
In questi momenti tanto severi serve la concretezza degli aiuti che si sono attivati con generosità grazie al contributo di tutti. Ognuno di noi però è anche altro: presenza di cuore e vicinanza che si può definire solidarietà immateriale e che ha una valenza comunque importante.