Numerose le letture del film Don’t Look Up, molte interessanti perché focalizzano su temi particolari, come se ognuno dei nostri sguardi fosse una lente di ingrandimento posta su aspetti a cui siamo più sensibili o che ci sono più familiari. È capitato anche a me: vedendo il film sono stata colpita soprattutto da argomenti che si incontrano spesso in ambito mindfulness.
Ho trovato ad esempio un campionario variopinto e ampio di attaccamenti e avversioni. Attaccamenti verso esperienze di intrattenimento e spensieratezza che si ricercano di continuo, e se ne vorrebbero sempre di più, così come attaccamenti verso i propri ruoli con i quali ci si identifica e che rischiano di ridurre ampiezza di sguardo e quindi prospettiva d’insieme. Ci ho visto anche molti esempi di avversioni verso tutto ciò che rischia di farci contattare fenomeni sgradevoli o che ci costringerebbe a cambiare una routine. Il tutto è ben condito in salsa di non-consapevolezza da parte dei personaggi che li esemplificano. Ecco allora che è molto più coinvolgente seguire trepidanti il ricongiungimento amoroso del personaggio di Ariana Grande col fidanzato, anche perché si rivela un buon antidoto alla notizia che non voglio lasciar entrare nella mia percezione. E ancora ci sono le elezioni xy a breve, importanti per la presidente, che in una prospettiva di minima, valgono più della catastrofe planetaria.
Personaggi iperbolici a parte, è interessante cogliere uno spunto per osservare noi mentre fluttuiamo tra attaccamenti e avversioni, non con lo scopo di darci chissà quali severi giudizi, ma perché notarli ci propone una lettura ulteriore delle nostre scelte quotidiane. Avere una consapevolezza più piena mentre andiamo da una parte o da un’altra anche in funzione di nostri attaccamenti o avversioni ci offre di fare più chiarezza, sentendo di comprenderci meglio o almeno in modo più focalizzato.
Guardando Don’t Look Up -sempre in termini di mindfulness- ho trovato molti casi di quello che mi piace chiamare la modalità dei gusci o la pratica sugli indizi. C’è una scena in cui il segretario di Stato si lamenta con il professore perché quello che gli sta dicendo (fra sei mesi il mondo salta per aria) gli fa avvertire un’ansia insopportabile e lui non la vuole affatto. Ed è fantastico notare come, nella scena, lì si fermi la riflessione della persona: rimane cioè così tanto sul guscio esterno da non entrare affatto nel motivo del fastidio. Per come è ben girata la scena, sembra che per lui rilevare uno stato di ansia che sente sgradevole (avversione) gli faccia abbassare la saracinesca rispetto a qualunque altra cosa.
Richiamare un po’ più di presenza mentale, ci permette di mettere a fuoco meglio la struttura di quel che stiamo attraversando, come se, con occhiali speciali, vedessimo l’intelaiatura e non solo la copertura. Al netto del fatto che il personaggio è stato ideato di proposito come superficiale -ovvio- vale però la pena notare come la reazione fisica sgradevole (sensazione di ansia) non sia letta per quello che è: un allarme antincendio sta suonando, forse hai un rogo da domare ma si ferma alla sirena dell’allarme che è brutta e cattiva, non la voglio sentire, ora vado e stacco il filo. In generale scarseggiano temerari all’orizzonte che si dirigono petto in fuori verso le sfide a pH acido, e va bene così: nessuno è contento di attraversare situazioni difficili, ma pare che -ahinoi- agli adulti ogni tanto capiti di doversi tuffare di pancia in un ginepraio: è quando siamo chiamati a passare dal guscio esterno del contenitore cosa sembra questa cosa? al suo contenuto cosa c’è qui dentro? Spesso parlo di pratica degli indizi perché se interpreto certi segnali come indizi (rilevo la sgradevolezza x), già nella denominazione è come se mi invitassi a fare un passo in più: se è solo un indizio significa che c’è altro che può essere visto. E non mi riferisco ai macro-temi della vita ma a cose del quotidiano come riconoscere il fastidio di quando tizio entra nel mio ufficio ogni mattina. Se mi dico che è un indizio allora -chissà- potrei aver voglia di farmi una domanda in più e ascoltare la risposta che mi do e, senza troppi patemi, ho magari occasione di osservare il mio rapporto con lui. Se penso invece che incontrandolo, il mio mmmh che nervoso! sia già il tutto e non solo un indizio, mi fermo lì e probabilmente il collega rimarrà a lungo brutto, cattivo e con poche speranze.
Di nuovo, a proposito di gusci, contenitori, contenuti e identificazioni, nel film si trovano moltissimi esempi offerti dai ruoli della presidente, dei due conduttori televisivi e anche degli esperti di comunicazione. Uno di questi ad esempio si chiede come fare in modo che il professore sviluppi uno stile di comunicazione più efficace. Santo Cielo, il professore sta dando una notizia catastrofica e ne ha le prove, potrebbe permettersi di dirlo balbettando e col sudore che gocciola dal naso eppure l’esperto di comunicazione si occupa del contenitore e gli sfugge che tra un battito di ciglia scompariranno lui e anche le sue scatole.
La prospettiva de il mio orticello, il mio ruolo spesso ci fa identificare così tanto da non lasciarci vedere che lo sguardo è arrivato a posarsi su un solo piccolissimo centimetro quadrato senza che ci sia niente in grado di farci alzare la testa…to look up appunto. Che poi, se non proprio su, anche solo un po’ intorno già aggiungerebbe molto.
solidarietà immateriale
In questi momenti tanto severi serve la concretezza degli aiuti che si sono attivati con generosità grazie al contributo di tutti. Ognuno di noi però è anche altro: presenza di cuore e vicinanza che si può definire solidarietà immateriale e che ha una valenza comunque importante.
2 risposte
Il tema degli attaccamenti e delle avversioni è sicuramente uno dei più interessanti a mio parere in ambito mindfulness.
Questo articolo capita a fagiolo in un momento in cui sto analizzando quanto io sia attaccato ai miei ruoli e quanto questo attaccamento non mi abbia mai permesso di guardare tutto il resto che c’è e che è sempre stato lì…è necessario rendersi conto che noi siamo anche altro e che quest’altro è sempre parte di noi e non annulla in alcun modo i ruoli a cui siamo attaccati semplicemente allarga i nostri orizzonti…a scriverlo è facile nella pratica un pò meno…ma il riconoscerlo è già una grande conquista…
Grazie Maria perché gli articoli forniscono notevoli spunti di riflessione da cui partire per lavorare su di noi…
grazie per arricchire insieme questa pagina: la tua risposta offre spunti a me e a chi legge.