Ogni giorno vanno in pezzi nuovi diaframmi di tollerabilità. Ormai scarseggiano i limiti, per quanto mi riguarda sono esauriti. La guerra porta sempre con sé l’elemento confini: accanto a quelli violati del Paese attaccato o invaso, ci sono quelli posti a distinguere tra civili e militari o quelli dichiarati in una sorta di fair play della battaglia, che solo a scriverlo si sgretola tra le lettere. Ci sentiamo dire: “No, anche questo no. È impossibile!”. E invece sì, è sempre successo e succede anche ora e con una vividezza di comunicazione prima impensabile, per cui sentiamo tutto come una presenza vicina, come fosse contatto corporeo.
Ci siamo dentro, siamo della partita anche se lontani ma neppure troppo, anche se le sirene no, noi solo in TV. Ma chi è che fa la guerra? Saranno tutti umani? Di sicuro verrebbe da dire non-umani per i tanti orrori già consumati, non-umani proprio a marcare la negazione dell’umanità. No, sono umani, fatti proprio come tutti, strutturalmente siamo uguali. Uguali.
Gli esperti sapranno dire come sia possibile coprire la distanza tra esseri umani che rabbrividiscono per lo scempio e altri che agiscono una tortura fisica su chi si strazia di dolore e ugualmente proseguono. Io sono un essere umano come lo è quello che violenta una donna davanti al figlio e la finisce con un colpo di pistola.
Allora cosa posso fare per marcare a me stessa, senza proclami, che il mio sistema di valori al momento mi tiene ancora ad anni luce da simili aberrazioni? Accanto ai tanti gesti a cui ognuno si dedica per aiutare, proporre e protestare, forse c’è ancora qualcosa su cui vale la pena agire.
Me la sento di compiere atti di non belligeranza nella mia vita?
La domanda non è retorica e ha a che fare con l’esplorazione dei nostri territori interiori. Parlo delle guerre quotidiane, ci capita di combatterne con una certa regolarità.
Sì, d’accordo, non c’è paragone in un certo senso, ma in un altro e con le opportune scalature un parallelo lo azzarderei. Se davvero sono tanto mossa (e per certo è così) dall’orrore della realtà, sono disposta a fare un minuscolo passo per sentire cosa accade in me astenendomi da atti di belligeranza?
Se riflettiamo un istante forse già affiorano i contorni dei piccoli conflitti nei quali ci ritroviamo talvolta annodati: contesti che ci sollecitano, relazioni faticose, preoccupazioni che ci spostano da un piano di serenità o almeno dalla neutralità. E per conseguenza ci attiviamo.
È poco interessante però ascoltare la nostra voce che ha già iniziato con la contraerea: “Eh però lui/sì ma è lei che/e perché io bla bla”.
Chissene sbatte.
Stiamo facendo per noi una prova, io preferisco chiamarla pratica, anche solo come gesto di solidarietà immateriale, che si affianca ai tanti di solidarietà materiale che sicuramente facciamo.
Voglio, riesco a impegnarmi per qualcosa che a me costa e che ha il valore di una risonanza sottile, come fosse solo una filigrana d’oro? Come fosse un: “Non servirà a niente per te persona uccisa, per te bambino violato ma io regalo ora a me -in nome vostro- il mio non-attacco”.
Una pratica, di solito…si pratica, e allora il tema è più impegnativo che semplicemente dirci: “Ok dai, per oggi non litigo con quel pezzo di me…”. Se vogliamo provarci davvero la cosa stimolante è vedere quanto ci costa non reagire subito, osservare quanto ci attiviamo se sfiorati sui nervi scoperti, da cosa ci sentiamo davvero infastiditi e provare a mettere un cuscinetto di neutralità prima di lanciare il missile.
Vedere che quello a cui reagiamo con rabbia è un innesco qualunque, non è la ragione vera che sta alla base ma è solo il casus belli. Siamo lì come ad attendere solo di poterci attaccare tutto il resto non chiarito prima e chissà da quanto.
Ah e per carità, lasciamo pure da parte aureole e frustate: non lo facciamo per avere conferma di essere bravi bambini né per criticarci di nuovo come brutte persone. Non è neppure una prova di resistenza: “Ok, ancora sette minuti e poi posso dirgliele tutte!”.
Questa è solo un’occasione per vedere in modo lucido la rapidità con cui capita di entrare in conflitto. Alziamoci in volo e guardiamo dall’alto le nostre piccole guerre quotidiane. Non serve chissà che, basta il fermo immagine di un istante per riemergere dal mulinello di un ennesimo coinvolgimento bellicoso. Scegliamo -perché no?- di prendere un’altra strada fosse anche solo per questa volta, dopotutto con questi ci siamo azzuffati già altre mille. Il nuovo scenario, illuminato da una diversa luce, ci proporrà magari ipotesi alternative rimaste in ombra fino ad allora.
Per noi è questo, tanto o poco che ci sembri, ma porta con sé un rispecchiamento simbolico, potente verso chi soffre nella guerra vera: offriamo dimensione di realtà alle parole ti sono vicino.
Una risposta
Grazie!
(Spero di incontrarti presto)